28 marzo 2008

produttività

Un tema all'ordine del giorno della politica, ma anche tra gli industriali è il problema della produttività del lavoro. Ma che vuol dire? una definizione di produttività del lavoro è la seguente: il valore aggiunto per addetto. Si fa strada ormai trasversalmente la questione della detassazione degli straordinari ed è sicuramente vero, evidente, che un incremento degli straordinari - a parità di addetti - aumenta il prodotto e quindi sembrerebbe anche la produttività, ma se questa è LA ricetta o comunque le ricette sono ascrivibili a detassazione degli straordinari, dei premi di produttività o della riduzione del costo del lavoro e preciso che sono un economista da due soldi, mi sento alquanto preso per il culo. Queste ricette sono di corto respiro per natura e sembrano presumere che i lavoratori si grattino tutto il giorno. La produttività del lavoro è connessa al rapporto capitale/lavoro e all'allocazione efficiente del capitale umano: non si lavora più con il solo martello e cacciavite. Dunque se la produttività è bassa la colpa prevalente è del basso impiego di "capitale", latu sensu, nell'impresa. La prova provata è nel seguente estratto dal Struttura e competitività del sistema delle imprese industriali e dei servizi anno 2005 dell'Istat
Più fresco non l'ho trovato.

Nel 2005 la produttività nominale del lavoro (misurata dal valore aggiunto per addetto) è pari a 38,8 mila euro, con valori più elevati nell'industria in senso stretto (49,3 mila euro) . Il livello dell’indicatore si attesta su 28,8 mila euro nelle imprese con 1-19 addetti, mentre raggiunge 53,4 mila euro in quelle con 20 addetti ed oltre. La produttività del lavoro aumenta quindi al crescere della dimensione aziendale; le microimprese registrano livelli di produttività pari al 43,8 per cento di quelli riscontrati nelle imprese con almeno 250 addetti (60,6 mila euro). Questo gap di produttività è evidente in tutti i principali macrosettori.
La rilevanza della dimensione aziendale nel determinare il livello della produttività del lavoro emerge anche dal confronto fra classi dimensionali contigue. Infatti, passando dalla fascia delle microimprese a quella delle unità con 10-19 addetti si registra un incremento di produttività pari, in media, al 30,7 per cento; l’incremento sale al 40,9 per cento se il confronto viene effettuato con la classe dimensionale immediatamente successiva (20-49 addetti).

Con una struttura industriale costituta prevalentemente da micro-imprese come può esistere un organizzazione produttiva strutturata e quindi dotata di capitale fisico e umano specializzato in grado di produrre ad alto valore aggiunto? Questo non vuol dire che la salvezza è la grande impresa, ma sicuramente quella strutturata e complessa. E' qui che si gioca la partita di lungo periodo, altrimenti saremo costretti, per compensare, a lavorare sempre di più ed a "costi" inferiori. Un esempio di malallocazione delle risorse lo si puo' vedere nei call center, una buona parte degli operatori è laureata, questo vuol dire che una parte del nostro capitale umano formato e con un   investimento monetizzabile elevato - si calcola che il solo costo per lo stato per formare un laurato si aggira attorno ai 150000 euro, più naturalmente c'è da contarci anche i costi sostenuti dal singolo per la propria formazione - è impiegato in mansioni a bassa qualifica, paragonabile al noto friggitore di McDonald. Perchè mai uno/a che in potenza ha il toolkit per svolgere mansioni più produttive sceglie questo lavoro. E' scemo? no, semplicemente non ci sono le posizioni, i ruoli per impiegarlo in maniera più efficiente. Avete mai visto un impresa artigiana - composta da imprenditore, ragioniere e quattro operai - che cerca e seleziona un responsabile del marketing, piuttosto che legale, o del personale. Non ce n'è bisogno l'imprenditore e il ragioniere sono sufficienti a svolgere tutte le mansioni. Conosco diverse persone che hanno deciso dopo la laurea di emigrare, prima la meta era l'Irlanda, ora comincia ad essere appetibile la Spagna, perché? Abbastanza semplice da dirsi, loro hanno investito in politica industriale modificando i propri vantaggi comparati attraverso un rinnovamento della propria struttura produttiva - ossia rendendola più complessa e quindi in grado di ricercare, assorbire, processare, regimi  tecnologici più avanzati - questi processi richiedono anni, decadi ma solo così si esce da paradigmi tecnologici ormai obsoleti, noi invece di adattarci e di rispondere attivamente alle sfide del mercato cerchiamo di difendere l'indifendibile, settori in cui la partita si gioca sul costo del lavoro, in pratica rispondiamo alla competizione erodendo il nostro benessere accumulato.
Pubblicato da iraniano alle 10:15 |  

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